“Zvanì”, un romanzo-saggio sulla famiglia Pascoli, che entra nel quotidiano, fin dall’infanzia del piccolo Giovannino. Emerge una storia intricata, senza spiare dal buco della serratura e senza la morbosità intorno ai suoi presunti o falliti amori, come talvolta, è stato fatto. Dopo tutto Pascoli nutrì un solo amore: quello fanciullesco ed intenso per sua madre. Fu l’amore, che egli, volle inseguire, nel corso della sua vita adulta, anche dopo la morte della stessa madre. E fu il suo tormento. Ma anche la grandezza della sua arte.
“Zavnì” ci aiuta a conoscere il Pascoli studente in collegio ad Urbino, quello attratto dalla politica, che lo condusse in carcere, del Pascoli docente e bibliotecario nel suo peregrinare tra Matera, Massa, Livorno dove il “nido” sembra disfarsi, per poi trovare la ri-creazione a Castelvecchio.
Il libro è nato nella scuola per la scuola e insegue una finalità didattica. In senso lato, perché rivolto agli studenti “per sempre”. A quelli che oggi studiano il poeta e che vogliono riceverne uno stimolo ulteriore, a quelli che l’hanno studiato ieri ed hanno una nostalgica voglia di rileggerlo, a quelli che lo studieranno un domani e conserveranno ancora la voglia di poesia.
La narrazione tende al colloquio scolastico con tre interlocutori: Giovanni, Zvanì e Mariù. Con il Pascoli sopravvissuto alle sue angosce di distruzione, soltanto, perché la madre gli ha fornito, per consolarlo, la ri-creazione del Nido. É il segreto della sua esistenza e della sua arte. Giovanni lo rivela all’incredula sorella Mariù, che, avendo contribuito a ri-creare la famiglia ideale della loro infanzia, è convinta di essere stata l’unica donna depositaria di tutti i suoi affetti. Lo scenario, in cui il poeta rivela alla sorella il suo drammatico scacco esistenziale, è la notte dopo il doppio tramonto del sole dietro il Monte Forato sulle Alpi Apuane. Il poeta ha assistito a quel miracolo della natura, con religiosa commozione, come se si trattasse di un sacro rito massonico - templare.
Poi gli è apparso Zvanì.
“Zavnì” ci aiuta a conoscere il Pascoli studente in collegio ad Urbino, quello attratto dalla politica, che lo condusse in carcere, del Pascoli docente e bibliotecario nel suo peregrinare tra Matera, Massa, Livorno dove il “nido” sembra disfarsi, per poi trovare la ri-creazione a Castelvecchio.
Il libro è nato nella scuola per la scuola e insegue una finalità didattica. In senso lato, perché rivolto agli studenti “per sempre”. A quelli che oggi studiano il poeta e che vogliono riceverne uno stimolo ulteriore, a quelli che l’hanno studiato ieri ed hanno una nostalgica voglia di rileggerlo, a quelli che lo studieranno un domani e conserveranno ancora la voglia di poesia.
La narrazione tende al colloquio scolastico con tre interlocutori: Giovanni, Zvanì e Mariù. Con il Pascoli sopravvissuto alle sue angosce di distruzione, soltanto, perché la madre gli ha fornito, per consolarlo, la ri-creazione del Nido. É il segreto della sua esistenza e della sua arte. Giovanni lo rivela all’incredula sorella Mariù, che, avendo contribuito a ri-creare la famiglia ideale della loro infanzia, è convinta di essere stata l’unica donna depositaria di tutti i suoi affetti. Lo scenario, in cui il poeta rivela alla sorella il suo drammatico scacco esistenziale, è la notte dopo il doppio tramonto del sole dietro il Monte Forato sulle Alpi Apuane. Il poeta ha assistito a quel miracolo della natura, con religiosa commozione, come se si trattasse di un sacro rito massonico - templare.
Poi gli è apparso Zvanì.