Iniziamo col dire che questo libro biblico è senza dubbio il più difficile del Nuovo Testamento: infatti non si tratta di una lettera, l'autore non è Paolo, e non si rivolge agli Ebrei. La diversità di vocabolario e di stile rispetto al Paolo delle altre lettere è palese. Siamo di fronte a un "discorso di esortazione" e di "dimostrazione", di "conforto", ma non solo: esso è una vera e propria grande omelia, scritta per essere letta dai cristiani dei tempi apostolici. Alcuni suggeriscono che sia un trattato teologico, con un andamento che porta al cielo e che talvolta sperimenta, come virtuosismi, la disposizione chiastica delle parole e dei concetti. Il lessico è infatti ricchissimo e variegato: solo in questo testo ci sono circa 130 hapax, termini che compaiono solo qui in tutto il Nuovo Testamento. L'autore ama inoltre citare a memoria, senza un metodo "scientifico", passi della Bibbia dei Settanta che gli andavano a genio in un'occasione o in un'altra. Lo scopo dello scritto è dimostrare che il sacrificio di Gesù, "sacerdote per sempre", sostituisce il culto sacrificale dell'Antico Testamento, e poi, in secondo piano, quello di evitare apostasie.
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