L’autrice prende in prestito il neologismo che indica l’autoscatto con i più moderni dispositivi per intraprendere una riflessione, incardinata nel pensiero classico, sul tempo. Le foto che incarnano il desiderio, l’ansia nella contemporaneità, di ribadirsi vivi, e che invece finiscono per rimandare ad altro, affondare nel profondo dei dilemmi sul destino umano, “foto di foto” se ci si guarda dentro e ci si riconosce in un perimetro cui manca la terza dimensione. Siamo veramente esistiti? – sembra chiedersi l’autrice, scandagliando la sofferenza cui la realtà ci condanna nelle nostre ineluttabili parabole discendenti verso malattia, vecchiaia e morte. Il selfie perde colori e si fa in bianco e nero, ma l’autrice non desiste dal ricercare una verità, un senso, chi siamo, chi siamo stati veramente, chi ci amò, chi ci tenne fra le braccia.
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