Da Amsterdam a Ulan Bator, da Torino a Parigi, da Montréal fino a Milano: Ostello della gioventù bruciata non è l’ultimo libro di Irvine Welsh o di Christiane F. (sì, un po’ di droga c’è ma niente di serio), ma un viaggio vorticoso e a tratti straniante in un mondo tutto da scoprire, geografico ma anche interiore. Con uno stile semplice che non disdegna l’uso della rima (ma quella cuore/amore no, tranquilli) Alfonso Maria Petrosino spazia schizofrenico fra uno stato d’animo e l’altro, ma soprattutto tra un bar e l’altro. Ne viene fuori che Petrosino a volte è un po’ depresso (come diceva il profeta di Quelo, “c’è grossa crisi”, si sa), a volte ha un cuore che trabocca d’amore, altre volte ha solo voglia di perdersi dentro a un bicchiere (o ad una bottiglia di Martini). Forse tutto questo vagare non porterà, infine, a trovare o a ritrovare la propria Itaca, ma, al massimo, ad una discarica abusiva sulla luna. In ogni caso, non c’è male. La vita è più ampia così, e vera. Pensavo fosse amore e lo era, lo era.