Omero cantava i propri versi di fronte a un pubblico che lo ascoltava dopo cena tra una coppa di vino e l'altra. Era dunque un cantante, un aedo, anzi un "divino aedo" come con orgoglio amava definire se stesso nell'Odissea, rappresentandosi ora nei panni di Demodoco e ora in quelli di Femio, che cantavano di fronte ai Feaci o ai Proci le gesta degli Achei a Troia o gli amori di Afrodite e Ares sull'Olimpo. All'inizio dei suoi poemi Omero chiede aiuto alla Musa della poesia, per avere l'ispirazione, e canta, come dicevo, di fronte a un pubblico formato da uomini potenti e ricchi. Io ho la gratificante illusione che il mio pubblico sia meno numeroso, se non altro formato dai miei nipoti Agnese, Pietro, Marco, Giulia e Matteo. (...) E' a loro cinque, dunque, che dedico questa mia libera e un pò fantasiosa trascrizione dell'Odissea, che dovrei chiamare Ulissea o Ulisseide, in quanto il protagonista viene qui chiamato Ulisse, nome che corrisponde alla forma dialettale Oulixes, usata dal gruppo di Greci eolici immigrati nella penisola italica e adottata dalle popolazioni etrusche e italiche.
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