La malattia mentale è proprio feroce. Per quanto si pensi che intacchi esclusivamente la mente di una persona, ne invade invece anche il corpo, facendo sì che la sua vittima non riesca a distinguere il confine tra il proprio mondo e la realtà. La malattia è una brutta bestia scura, talmente subdola che ti trasforma, tira fuori il peggio di te e, a volte, ti fa meravigliare di te stesso. Impotenza. Ecco quale sensazione si impadronisce di una figlia la cui madre soffre di una grave forma di schizofrenia, malattia devastante per tutta la famiglia. Il dolore comporta spesso la solitudine, la malattia mentale rappresenta un tabù e incute lo stesso timore che si prova dinanzi all’ignoto. Ansia, sensazioni di vuoto, sentirsi una macchina in cui i pensieri si bloccano e creano paure, incertezze, disorientamento, solitudine, emarginazione, terrore di non farcela. Farla finita o battersi sono i due pensieri che assillano la mente e il cuore e in queste pagine, così intime e profonde, c’è proprio il racconto di una grande rinascita.
Come dice mia mamma, sono una giovane donna di 25 anni. Studio e lavoro allo stesso tempo, faccio il vice capo scout e, nel tempo libero che mi rimane, coltivo i rapporti più significativi della mia vita, oltre a fare sport. Dopo tanti anni di fatica nel cercare di rimettermi in pari con i miei coetanei, sono qua, maturata più dentro che fuori. Fin da piccola sono cresciuta in una famiglia che avrebbe voluto amarmi tanto, ma che è stata succube della grave schizofrenia di mia mamma. Alle medie, vista la gravità della situazione, ho iniziato ad andare a incontri regolari con l’assistenza sociale. Poco dopo, ho iniziato un percorso terapeutico con una psicologa pubblica. Poi, a diciannove anni, ho perso il babbo per cancro, trovandomi con mia mamma totalmente invalida e sua sorella anziana. Eppure, dopo anni, posso dire che ho finalmente trovato la guarigione dal sentirmi una caregiver obbligata. Vivo in autonomia e sono alla seconda laurea triennale, questa volta in ingegneria informatica, pur mantenendo un buon rapporto con mia mamma e sua sorella.
Oggi sono felicemente a un punto della mia vita in cui gioisco di ogni giorno e sono in grado di rialzarmi dopo ogni avversità, mantenendo in bolla la bussola del mio nord. Onestamente, non me lo sarei mai aspettata di dire una cosa simile, eppure ci credo. Spero dal profondo che un giorno ciò possa valere anche per tutti gli altri figli di persone con disturbi mentali, dato che non tutti, purtroppo, riceviamo gli stessi strumenti per cavarcela di fronte alle avversità del dover badare al proprio genitore.
Come dice mia mamma, sono una giovane donna di 25 anni. Studio e lavoro allo stesso tempo, faccio il vice capo scout e, nel tempo libero che mi rimane, coltivo i rapporti più significativi della mia vita, oltre a fare sport. Dopo tanti anni di fatica nel cercare di rimettermi in pari con i miei coetanei, sono qua, maturata più dentro che fuori. Fin da piccola sono cresciuta in una famiglia che avrebbe voluto amarmi tanto, ma che è stata succube della grave schizofrenia di mia mamma. Alle medie, vista la gravità della situazione, ho iniziato ad andare a incontri regolari con l’assistenza sociale. Poco dopo, ho iniziato un percorso terapeutico con una psicologa pubblica. Poi, a diciannove anni, ho perso il babbo per cancro, trovandomi con mia mamma totalmente invalida e sua sorella anziana. Eppure, dopo anni, posso dire che ho finalmente trovato la guarigione dal sentirmi una caregiver obbligata. Vivo in autonomia e sono alla seconda laurea triennale, questa volta in ingegneria informatica, pur mantenendo un buon rapporto con mia mamma e sua sorella.
Oggi sono felicemente a un punto della mia vita in cui gioisco di ogni giorno e sono in grado di rialzarmi dopo ogni avversità, mantenendo in bolla la bussola del mio nord. Onestamente, non me lo sarei mai aspettata di dire una cosa simile, eppure ci credo. Spero dal profondo che un giorno ciò possa valere anche per tutti gli altri figli di persone con disturbi mentali, dato che non tutti, purtroppo, riceviamo gli stessi strumenti per cavarcela di fronte alle avversità del dover badare al proprio genitore.