L'intenzione del lavoro, le motivazioni della ricerca, lo stimolo all'indagine sono presentate al lettore già all'incipit del libro. Il tempietto e la statuetta in marmo provenienti da Garaguso, esposti nel museo provinciale di Potenza, importanti esemplari dell'arte greca, "non si sa con precisione dove, quando e in quali circostanze furono ritrovati". Il racconto, pensato come un giallo, si snoda con un linguaggio essenziale, a tratti anche brillante, nonostante il gravame derivante dalla necessità di presentare un'abbondante apparato documentario, dalle citazioni e dai numerosi riferimenti bibliografici. Gli ingredienti del romanzo ci sono tutti, perizia calligrafica affidata ad esperti internazionali, 'dissimulazione onesta', 'complotto', 'depistaggio' ed anche le 'causali convergenti' che tradiscono la conoscenza dei migliori testi della letteratura italiana. La capacità investigativa di Jean-Marc Moret, credibilmente con il concorso autorevole di Domingo Gasparro, è straordinaria nell'individuare i motivi e i modi della grande falsificazione operata dal Di Cicco per proteggere il patrimonio archeologico lucano dal rischio di un imposto trasferimento in altre sedi nel rispetto delle normative vigenti al momento. L'abitudine consolidata dell'autore alla ricerca, all'esame puntuale e filologico delle fonti letterarie ed archeologiche, il possesso di un rigoroso metodo di lavoro che privilegia l'analisi, traspaiono prepotentemente in ogni pagina. Allo stesso tempo, nella consapevolezza che i preziosi materiali dello scavo di Garaguso non sono scindibili dall'archeologo che ha operato sul terreno, restituisce un ruolo importante a Vittorio Di Cicco e ne traccia anche un interessante profilo umano.