Non si sa da che cosa fugga o da chi, questa piccola spia che ha l’imprudenza (o l’impudenza) di scrivere un diario, ancorché anonimo e fuori dal tempo, che tra le righe di una reticente confessione racconta avventure inverosimili. Forse fugge da sé stesso, dai suoi incubi, dalle sue ossessioni. Come una specie di Giona del vicinato che occulta nei suoi abissi una colpa inconfessabile. E forse si tratta soltanto di una spia immaginaria, in preda a un delirio, a una specie di fantasmagoria. Non meno insondabile è infatti il suo compito, il suo oscuro e mediocre lavoro, fatto di banali e minime mansioni. Né per conto di chi lo svolga e a quali fini. Non è mai chiaro in cosa consistano le sue missioni segrete, chi siano i misteriosi personaggi che sorveglia e che pedina (o che a loro volta sembrano pedinarlo). Tutta la sua vita appare come un’impostura e una messa in scena. Una vita tradita, passata a rubare la vita degli altri. Attendendo con timore e tremore un ultimatum metafisico, un infallibile sicario.