老外 Lǎowài, così i cinesi chiamano, in modo più o meno colorito, lo straniero. Per me, nato a Prato non distante da quella che sarebbe divenuta la più imponente Chinatown d’Italia, lo straniero era il tipo dagli occhi a mandorla, la voce chiassosa e il pigiama di pile in pieno giorno.
Non sospettavo che, in un batter d’occhio, sarei diventato io il Lǎowài e che la Cina sarebbe presto stata casa mia, tirandomi dentro con tutte le scarpe, vittima e allo stesso tempo protagonista di quel delirio cosmico che è la sua controversa e caotica società all’inizio del Terzo Millennio. Così come non immaginavo che questo viaggio, affrontato con incoscienza, entusiasmo, fatica, coraggio e parecchia ironia, sarebbe diventato uno dei capitoli più significativi della mia vita.
Non sospettavo che, in un batter d’occhio, sarei diventato io il Lǎowài e che la Cina sarebbe presto stata casa mia, tirandomi dentro con tutte le scarpe, vittima e allo stesso tempo protagonista di quel delirio cosmico che è la sua controversa e caotica società all’inizio del Terzo Millennio. Così come non immaginavo che questo viaggio, affrontato con incoscienza, entusiasmo, fatica, coraggio e parecchia ironia, sarebbe diventato uno dei capitoli più significativi della mia vita.