Salento, primavera 1958. Rachele rovescia i puzzle della sua vita su un tavolo malconcio. Ha gli occhi tristi e le sue lacrime hanno il sapore amaro di una vita giunta al termine molto presto. La sua anima è stata intorbidita da troppe richieste di affetto, da abbracci mancati, da una solitudine spietata che le ha lacerato le membra. L’indecente odio covato dal padre nei suoi confronti e l’indifferenza della madre; poi un evento funesto che la coglie da vicino, segna l’inesorabile ascesa verso il suo inferno inquieto. E se i compaesani nutrono la speranza che il rituale della Taranta possa mettere fine alla sue sofferenze, Rachele ha già scritto l’epilogo della sua vita.