Sara non riesce a persuadersi della legittimità di anteporre la sua felicità a tutto. È combattuta tra la decisione di ritornarsene al suo paese, per le prossime feste di Natale, con il figlioletto Daniele, il marito Arturo, la sorella Vittoria, e quella di restare al capezzale di zia Costanza, che sembra cada di nuovo in coma, ogni volta che la nipote si allontana da lei. Il rapporto con il cugino Giorgio e le cugine Romana e Antonietta, che assecondano il medico nella sua diagnosi, attribuendo un effetto terapeutico alla presenza di lei accanto alla loro anziana madre, comincia a farsi morboso. Nel condividere in modo coatta la vita privata di una famiglia borghese di Reggio Calabria, il dramma psicologico di Sara raggiunge l’acme nei giorni che precedono il forte terremoto e maremoto del 1908. Neanche Rodolfo, il marito di Vittoria, con il quale ha una buona intesa, riesce a convincerla a partire. Dal punto di vista onnisciente, la narrazione delle vicende, la descrizione dei personaggi secondari, come l’enigmatico rabdomante Balsamo, tende a trasportarci di là dall’empirismo, in una dimensione spirituale, in cui avrebbe dovuto trovarsi Sara per salvarsi, intuendo che l’amore di sé viene prima, così come l’amore di Dio viene prima dell’amore di sé.